Vacondio: adesso l’agroalimentare tiene, ma il futuro è incerto
Ivano Vacondio, Presidente Fedralimentare
“Se questa situazione di emergenza dovesse persistere, fra uno o due mesi potremmo correre il rischio di non importare quei prodotti che non produciamo abbastanza, come carne e latte e soprattutto cereali. Il nostro Paese importa quasi il 50% di grano tenero e duro che serve per fare il pane, la pasta, i biscotti, i dolci o i prodotti da forno“.
Con Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare, facciamo il punto sullo stato attuale del settore e su come le imprese stanno vivendo questa grave emergenza.
Lanciato l’allarme per il futuro, Vacondio vuole però essere realista.
“Al momento non abbiamo problemi a rifornire la rete di vendita. Come Federalimentare lo abbiamo detto più volte. Ad oggi è tutto sotto controllo, supermercati e negozi di prodotti alimentari sono ben forniti, al punto che mi sento di dire che il food è il settore che sta tenendo in piedi questo Paese, oltre ovviamente ai presidi sanitari che sono fondamentali. Abbiamo scorte più che sufficienti che riguardano il 75% delle materie prime nazionali. Al momento nessuna delle nostre fabbriche è ferma, la produzione va avanti, cibi e alimenti sono regolarmente nei negozi“.
Il Presidente di Federalimentare poi fa i conti con quello che sta succedendo, soprattutto sul fronte della tenuta economica delle imprese:
“Il fattore Coronavirus sta ribaltando le previsioni di accelerazione nel 2020 trasformandolo rapidamente in un anno debole, anomalo e interlocutorio, per il momento difficile da decifrare. Lo scenario è a tinte fosche: la somma del fatturato delle industrie alimentari delle 4 regioni maggiormente coinvolte – Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna – rappresenta i due terzi del fatturato di settore. È evidente che anche un leggero rallentamento delle attività in questo perimetro operativo si ripercuote in modo pesante a livello nazionale.
È da prevedere inoltre l’abbassamento significativo dei consumi alimentari interni 2020 dovuti al calo della ristorazione e del turismo: va ricordato che il fatturato complessivo della “spesa alimentare legata al turismo” è stimata in 30,5 miliardi. Nello specifico, 18,5 miliardi sono legati alle spese alimentari del turismo interno (11 miliardi per ristorazione, bar e caffè, e 7 miliardi a spese agroalimentari), mentre 12 miliardi fanno riferimento al turismo proveniente dall’estero (7 miliardi per ristorazione, bar e caffè e 5 miliardi per spese agroalimentari). Stando così le cose possiamo attenderci una ripresa solo per l’ultima parte dell’anno in corso. Inoltre, se il PIL perderà, come sembra, 1 punto percentuale (ma potrebbe essere alla fine di più) ne potrà risentire anche la produzione alimentare. L’export di settore, nella migliore delle ipotesi, manterrà il segno “più”, ma con un tasso simbolico, di poco superiore la parità. Si può confidare, invece, in un forte rimbalzo (come avviene sempre, per effetto psicologico, dopo le grandi crisi) nel biennio successivo”.
Ci sono poi altri aspetti di carattere pratico che incidono sull’operatività delle imprese?
“Naturalmente, le aziende stanno fronteggiando difficoltà anche in tema di mobilità nazionale e internazionale con diffuse problematiche logistiche, ad esempio la difficoltà di circolazione dei dipendenti e persino delle merci: fondamentale diventa garantire il rispetto dei tempi di spedizione e di consegna per non provocare lo slittamento dei termini di pagamento. In più, la paura è che si possa ingenerare un calo di fiducia nel sistema del Made in Italy del tutto ingiustificato ma pericoloso perché metterebbe a dura prova l”unico elemento concreto di crescita per l”industria alimentare: l”export”.